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sabato 9 gennaio 2021

Francesco Guccini - singoli


Francesco Guccini (Modena, 14 giugno 1940) è un cantautore, polistrumentista, scrittore e attore italiano. Fra i più importanti e popolari cantautori, il suo debutto ufficiale risale al 1967, ma già nel 1959 aveva scritto le prime canzoni rock 'n' roll. In una carriera ultraquarantennale ha pubblicato oltre venti album. È anche scrittore e sporadicamente attore, autore di colonne sonore e di fumetti, si occupa inoltre di lessicologia, lessicografia, glottologia, etimologia, dialettologia, traduzione, teatro ed è autore di canzoni per altri interpreti.

“So benissimo cos’è, ma se me lo chiedete non so rispondere”, diceva Sant’Agostino. Francesco Guccini ha provato per una discografia intera a rispondere a quella domanda: cos’è il tempo? Le riflessioni attorno al tempo creano un suggestivo e melanconico fondale alla sua autentica poetica del ricordo. Un filo conduttore che il cantautore comincia a tessere nel terzo disco “L’isola non trovata” (1970).




È una canzone poco nota o comunque meno famosa di altre, ma preannuncia il tema forse più corposo della sua produzione: il tempo visto in tutte le sue declinazioni.


La canzone era finita già, in versione beat, su un 45 giri del 1968; l’incisione del 1970 è più scarna, con il solo rincorrersi delle chitarre di Guccini e Deborah Kooperman. Tra le due versioni c’è anche una differenza di testo, poiché il brano del ’70 ha una strofa in più, quella che comincia con “giornate senza senso come un mare senza vento”.


La dialettica temporale giorno-notte è lo scenario in cui riaffiorano i ricordi, che disturbano come “bagasce” la malinconia notturna, ma che sembrano fondamentali per poter giungere a una specie di consolazione: “cerchi sempre ciò che ti è lontano, dopo dici ‘tutto è relativo’”.


Uno dei capolavori di Francesco Guccini. Lo sguardo di una donna ritrovata dopo anni diventa occasione per dialogare con il lavorìo del tempo, che prende e dà senza concederci certezze, forse solo convinzioni.


È una canzone costruita su un imponente slittamento temporale: Guccini racconta il passato modenese, che è però presente rispetto al ricordo dell’infanzia pavanese a casa dei nonni paterni, vera e propria radice in cui cercare salvezza e consolazione.


Evidente il riferimento biografico: “giugno, che sei maturità dell’anno, di te ringrazio Dio. In un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io”.  La varietà strumentale accompagna tempo circolare e lineare della canzone, in cui il passaggio tra un mese e l’altro viene disegnato anche attraverso l’inserimento degli elementi atmosferici.  Centrale settembre, “mese del ripensamento sugli anni e sull'età”.


L’osteria è un emblema usato per riflettere sui cambiamenti sociali e sulla dialettica tra l’oggi e il prima, tra com’era e com’è. La parte finale si tinge di rassegnazione con quel verso “le cose andate sono andate ed ho per unico rimorso le occasioni che ho perduto”.


Il brano e l’oggetto poetico di Guccini diventano icone di un sentimento politico preciso, anche se le intenzioni erano ben altre: “portavo allora un eskimo innocente, dettato solo dalla povertà”.


Due amanti si lasciano avvolgere dai ricordi, compiaciuti forse di non essere diventati una di quelle coppie che rimangono assieme per tutta la vita a “sfogare ad ogni istante l’urlare della noia”.


Canzone inedita del quarto album, che in un concerto del 1989 l’ha definita “la decana”. Pare sia datata addirittura 1964, ma mai fino alla fine degli anni ottanta il cantautore aveva avuto il coraggio di tirarla fuori.


Francesco Guccini cambia lievemente prospettiva e investe di disincanto e rassegnazione non solo il presente, ma anche il passato, che in molti brani sembrava invece l'unica fonte salvifica. Premio Targa Tenco per la miglior canzone del 1990. 


Il suo titolo proviene dal nome di una farfalla, scoperta nel 1992, che popola l’appennino tosco-emiliano. Guccini ha dedicato il brano, ispirato alla canzone dell’addio firmata da Dylan (citata dopo la terza strofa), alla compagna Angela, madre di Teresa, che lo accolse con un freddo “e ora che dovrei fare, piangere?”


Sembra ci sia un clima disteso dopo la rassegnazione e la disillusione: l’accettazione della perdita di qualche amico d’infanzia, degli amori, dei miti giovanili, delle stagioni; come a dire che l’uomo è l’unico animale conscio della propria fine.


Francesco all'inizio dei duemila incide un disco intero sul passare del tempo e delle stagioni: quelle fisiche e quelle politiche, soprattutto. Il correlativo poetico principale è Ernesto Che Guevara. La sua morte viene vista come la fine di una speranza, la fine di una stagione.

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